La Brezza di Giannutri

30 Novembre 2023

Dopo il BR20 (vedi articolo “La cicogna degli Aregai“) ero alla ricerca di un soggetto più impegnativo. Volevo una “vera” nave e alla fine dei miei ragionamenti mi era venuto in mente un relitto di dimensioni significative, che riposava anche in un punto che doveva di una buona visibilità; si trattava del Nasim II.
Nasim è un nome che in arabo si può tradurre come “venticello”, “brezza”. Era la notte tra il 10 e l’11 Febbraio del 1976, la nave trasportava auto usate da Livorno ad Alessandria di Egitto, quando la rotta seguita dalla motonave iniziò a differire da quella stabilita.
Erano tempi pre GPS, bisognava guardare la bussola e gestire lo scarroccio tenendo d’occhio le poche luci visibili sulla costa. Nella notte invernale, complice un po’ di vento al traverso, poteva capitare di finire in un punto diverso da quello atteso. Probabilmente per questo, alle 4:30 la nave urta la costa dell’isola di Giannutri, a Punta Scaletta. L’urto è violentissimo, la prua si deforma e il mercantile inizia a imbarcare acqua. Il capitano prova un’ultima manovra disperata per salvare il suo vascello, superata Punta Scaletta, vira a nord verso Cala Maestra con l’intenzione di incagliare su un basso fondale. L’acqua che entra è tanta, il mercantile accumula un vistoso sbandamento sul fianco sinistro e mentre si inclina inizia a perdere parte del carico di auto. La nave è condannata, troppa l’acqua imbarcata; il Nasim II trova la sua fine a Giannutri di fronte a Punta Pennello su un fondale di 60 metri. Grazie al cielo non ci sono vittime.

Il relitto lo conoscevo abbastanza bene. Un naviglio da 70 metri di lunghezza per 11 di larghezza, per me era perfetta.
Per chi abita in Toscana, il Nasim è la classica immersione da coronamento del corso Trimix Normossico. 60 metri di profondità massima, poi devi scavare sul fondo. Una sicurezza per allievi e istruttori, perchè siamo tutti bravi e capaci, ma a volte non si sa mai.
Riguardando il mio divelog di tuffi là sopra ne avevo fatti un bel po’, si trattava di un’immersione sempre piacevole anche perché andare sul Nasim vuol dire a tutti gli effetti fare due immersioni in una. C’è il tuffo sul relitto, ottimo per gli appassionati del ferro e la risalita fatta a contatto con la vicina parete di Punta Pennello che trasforma l’immersione sul relitto in una “naturalistica”. In queste condizioni i tempi di decompressione corrono via veloci

Per innalzare la qualità del modello, invece che riprendere un video come avevo fatto in passato, intendevo scattare delle fotografie, tante fotografie.
Dovevo solo capire come. L’idea era di passare sopra il relitto e di riprenderlo dall’alto, azionando lo scatto con un meccanismo “remoto” che mi avrebbe permesso di tenere le mani sul DPV e allo steso tempo scattare. Per questo misi assieme un oggetto che potevo montare sullo scooter per orientare la telecamera verso il basso, e che con un comando remoto, costituito da pezzi stampati in 3D e ricambi per biciclette comprate da una nota catena di negozi sportivi.
L’ “aggeggio” è quello montato sul mio scooter nella foto sotto. In casa l’avevo denominata la “macchina di Rube Goldberg“, per il meccanismo generale non proprio lineare e pulito.

L'aggeggio

Vi posso dire che la cosa non funzionò, neanche un poco. Presi pochissime foto prima che il sistema si “inceppasse”, lasciandomi sul fianco della nave a cercare di sbloccare il tutto. Calcolando che l’aggeggio era fatto di parti custom che contenevano cavetti d’acciaio e roba che poteva anche rompersi, in retrospettiva direi che sono stato fortunato a non rompere niente o a farmi male.

Quello che capì, grazie al cielo prima di effettuare il secondo tuffo, è che quell’aggeggio era inutile. Era sufficiente orientare di lato il gruppo luci con la macchina e ruotare lo scooter a destra e a sinistra per girare perfettamente alla macchina verso il basso e fare agilmente tutti i “transetti” necessari per le riprese. Lo scatto remoto non serviva, bastava impostare la macchina per fare dei time lapse con 1, 2 secondi di intervallo. Il controllo di scatto remoto ormai non era più necessario.

Come ho accennato sopra, la faccenda in acqua è stata poi ancor più rocambolesca del previsto. Nel primo tuffo il marchingegno si era inceppato permettendomi usare solo la gopro di backup come sistema di raccolta delle immagini. Quasi bene, se non che nel rientrare in barca, per via di un urto, la gopro era saltata via ed era andata perduta nella prateria di posidonia sotto l’ormeggio.

Il secondo tuffo si era svolto in modo più tranquillo, ero riuscito ad acquisire le immagini sia con la compatta che con la action cam, sennonché, riguardando a casa il risultato , mi ero accorto di non essermi mosso in modo uniforme sul relitto. C’erano purtroppo dei “buchi” e delle parti non coperte. Brutta storia. Mi stavo convincendo che avrei avuto necessità di una terza immersione per poter regolare i conti con il Nasim.

Qualche settimana dopo ero a casa a guardare il calendario per capire quando avrei potuto incastrare questo maledetta terza visita a punta pennello, quando Simone di Argentario Divers mi scrive: “Dario, lo sai che forse abbiamo ritrovato la tua gopro?”. Un bravo fotografo e fotosub Vincenzo, con l’occhio allenato che hanno i veri fotografi, era riuscito a scorgere e a recuperare la mia action cam in mezzo alla posidonia, giusto sotto il punto di ancoraggio in prossimità del Nasim.
Ora per una di quelle coincidenze della vita, proprio quella settimana era capitato anche a me di recuperare una action cam persa da una ragazza su un fondale diverso a quello di Giannutri e restituirla alla proprietaria. Devo dire che dopo queste vicende ho iniziato a valutare differentemente il concetto di karma, ma sto divagando.
A casa, ispezionando con calma le riprese , ebbi la conferma che la GoPro ritrovata conteneva le parti mancanti del relitto. Potevo realizzare un modello completo.

E’ così che dopo queste peripezie, con due tuffi sul Nasim, uno da 30′ e l’altro da 45′ minuti, avevo accumulato un bel pacchetto di circa 4500 immagini processabili. 3700 catturate con le GoPro e 800 con la Sony RX100. Adesso c’era solo da provare a metterle assieme il tutto.

Qua vi posso dire che per utilizzare immagini di diverse fotocamere Meshroom è impareggiabile, rispetto ad altri programmi è meno efficiente, ma è in grado di masticare veramente di tutto. Per questo dopo “soli” 3 giorni di elaborazione ho finalmente una “structure from motion” robusta con la rappresentazione delle posizioni in cui sono state scattate le foto.

Le posizioni delle 4500 foto rispetto al relitto.

Il diavolo è nei dettagli

Dopo i passaggi rituali ho finalmente il modello. Averlo, mi regala questa sensazione di essere riuscito in qualche modo a carpire qualcosa di particolare del relitto. Un qualcosa che è solo mio.

Personalmente mi diverte molto, guardando il risultato della ricostruzione, notare alcuni dettagli che in acqua mi sono sfuggiti.

Il Nasim II dall'alto

Per esempio la prua; solo guardando la ricostruzione mi sono accorto di quanto la forza dell’urto l’avesse dislocata.
Guardate l’immagine sotto. Con l’urto la prua si è rincalcata sul lato di dritta e la murata si è squarciata. L’estremità anteriore della prua, alla base del tagliamare, risulta invece “svirgolata” vero destra, la lamiera si è piegata e forma quasi un ricciolo. Neanche la nave fosse stata fatta di lamierino invece che di solido acciaio.

Altro dettaglio che è difficile da vedere, dato che generalmente la coperta è in ombra, è quello del container, quello che nelle ricostruzione si vede a metà del ponte. Misurato sul modello risulta essere lungo circa 6 metri, quindi ad occhio e croce direi un 20 piedi. Questo contenitore era stato saldato direttamente sul ponte della nave, probabilmente per evitare che si muovesse. Ma adesso che il relitto è reclinato su un fianco, il peso della nave si scarica sul bordo del container appoggiato, che non potendo muoversi in alto, perché saldato, fa leva sul ponte di coperta curvandolo verso l’interno. Ad occhio nudo è difficile rilevarlo, ma ricostruendo il modello ed esaminando la zona, non lo si può non notare.

il ponte piegato dal container

Un pensiero ozioso che mi viene in mente è che sarebbe interessante tenere d’occhio questa parte del relitto negli anni a venire per capire se l’incurvatura è stabile o sta aumentando, cosa che potrebbe anche anticipare il collasso dello scafo sotto il peso degli anni.

Ma alla fine potevo dirmi soddisfatto del risultato? Il modello era abbastanza corretto e non presentava grosse distorsioni, certe parti erano molto grossolane e approssimative, colpa sicuramente della scarsa qualità delle immagini della gopro che componevano la maggioranza delle foto raccolte. Comunque alla fine mi sentivo abbastanza soddisfatto, ero riuscito a portare a casa il primo modello fotogrammetrico di una vera nave e adesso stavo già pensando a quale sarebbe stato il prossimo obiettivo. Magari un relitto che stava degradandosi rapidamente e che valeva la pena di riprendere prima dell’inevitabile?
Avevo un’idea.

Chiudo l’articolo aggiungendo il rendering del modello effettuato con Blender, che permette di apprezzare un po’ meglio i volumi rispetto ad un’immagine statica.

Per coloro che sono interessati alle statistiche, il modello visualizzato in questo articolo è stato realizzato da un set di 4500 immagini raccolte in due distinte immersioni avvenute tra Giugno e Luglio del 2022 con il fattivo supporto di Argentario Divers che sempre ringrazierò per la disponibilità. Il modello costruito da questo insieme di immagini consta di circa 8 Milioni di poligoni e ha richiesto in totale circa un mese di elaborazione per essere realizzato.

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